Cosa facciamo

Trattamento di disagi specifici

ADHD

Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è tra i più comuni deficit neuro comportamentali nell’età evolutiva. Tra i sintomi più comuni troviamo la disattenzione, l’impulsività e l’iperattività motoria. I sintomi possono presentarsi insieme oppure separatamente, può prevalere la disattenzione oppure l’elemento dell’iperattività/impulsività.

Al di là delle caratteristiche tecniche, ci sembra importante poter descrivere come si mostra un bambino iperattivo. Parliamo al maschile perché il disturbo si presenta prevalentemente, ma non esclusivamente, nel genere maschile.

Il bambino/ragazzo iperattivo viene spesso descritto come “faticoso”, “ingestibile”, “agitato”, “maleducato”: non riesce a stare fermo, anche in casa i genitori faticano a contenerlo, mentre a scuola si alza in continuazione, chiacchiera e disturba, si distrae e spesso il suo rendimento ne risente. Mostra difficoltà con i coetanei proprio per il suo modo “agitato” di rapportarsi.

Un’immagine suggestiva potrebbe essere quella di un passeggero che guarda fuori dal treno ad alta velocità. Nella mente di un bambino iperattivo, tutto scorre veloce, non si riesce a contenere un’eccessiva energia interna e questo comporta una profonda sofferenza.

Le emozioni che scaturiscono sono molte sia nel bambino/ragazzo con ADHD, sia nei genitori e sia in tutte le persone che sono coinvolte nel suo percorso di crescita. Colui che presenta il disturbo, infatti, non mette in atto volontariamente dei comportamenti disfunzionali e soffre per questa incapacità di inibire i vari stimoli che lo assalgono.

L’Associazione propone un intervento di presa in carico del giovane paziente con ADHD che si articola su due livelli. La creazione di uno spazio di ascolto per il bambino/ragazzo che abbia l’obiettivo di contenere e di mettere in parola tutte quelle emozioni che emergono in maniera disorganizzata nella sua mente e dall’altra la realizzazione di un percorso di supporto per i genitori volto alla gestione del figlio e all’elaborazione dei propri vissuti emotivi.

Accanto a questo, l’Associazione offre la possibilità di creare percorsi di supporto, supervisione e /o formazione per la scuola e per tutte le figure extra familiari convolte nella relazione con il bambino.

Dipendenza e dipendenza

Dipendere etimologicamente deriva dalla parola latina “de-pendere”, pendere da, e sta a significare quello stato in cui ci si trova legati a una condizioni, sotto il potere di qualcuno, soggetto all’autorità di altri o di qualcosa.

Per questo abbiamo deciso di mettere insieme i termini dipendenza e dipendenze proprio a significare che può cambiare l’oggetto da cui “pendere” (persona, droga, internet, cibo, sesso, ecc) ma permane un disagio interno che fa sì che l’individuo si trovi nella condizione di non riuscire a fare da sé ma di doversi aggrappare a qualcosa e/o qualcuno per poter star bene.

Ci sono casi in cui una relazione di dipendenza è sana, si pensi per esempio a un bambino appena nato o piccolo che necessariamente deve dipendere dalla persona che si prende cura di lui perché ancora non ha gli strumenti per poter sopravvivere da solo; oppure nei casi in cui anche da adulti non ci sente bene per una malattia o altro e ci si trova nella condizione di dover dipendere dalle cure di qualcuno (medici, ospedale). La dipendenza è una condizione della vita umana, dipendiamo dal nostro corpo, dai nostri pensieri, è parte integrante delle relazioni; nel corso della propria vita, quindi, è anche importante saper dipendere, mantenendo quel legame dinamico e libero tra sè e l’altro.

Una relazione di dipendenza, al contrario, diventa patologica, tossica o fonte di disagio quando la persona, che è in condizione fisiche e psichiche per potersi prendere cura di sé, non può fare a meno del termine da cui dipende e in sua assenza non riesce a portare a termine attività anche semplici legate alla quotidianità. Questa situazione di inevitabilità compromette il buon funzionamento della vita interferendo in maniera profonda con l’attività lavorativa, lo studio, colpendo i legami e la realizzazione personale.

Prendere in carico una persona con dipendenza prevede un accurato processo diagnostico e un progetto terapeutico che presuppone un lavoro di rete coinvolgendo altre figure professionali quali lo psichiatra o i servizi sul territorio.

Disturbi Specifici dell’Apprendimento

I disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) racchiudono una serie di difficoltà nell’ambito della lettura, scrittura e nel calcolo. Vengono definiti specifici perché il disturbo riguarda, appunto, delle abilità circoscritte e specifiche, mentre il livello intellettivo generale (QI) è intatto.

I DSA sono:

  • Dislessia: difficoltà nella lettura;
  • Disortografia: difficoltà nello scrivere in modo corretto, da un punto di vista ortografico;
  • Disgrafia: difficoltà nello scrivere in modo fluido, rendendo lo scritto poco leggibile;
  • Discalculia: difficoltà nella comprensione e nell’ambito dei calcoli matematici.

Questi disturbi possono comparire da soli e anche insieme. In quest’ultimo caso prendono il nome di Disturbo Misto e possono anche coinvolgere abilità legate alla coordinazione spazio-motoria.

La diagnosi di DSA può essere fatta durante gli anni scolastici e, in particolar modo, alla fine della seconda elementare, anche se si possono notare delle difficoltà già alla fine della scuola dell’infanzia. Per fare una diagnosi è necessario sottoporre il bambino ad una serie di test che valutino le specifiche abilità. Durante la fase diagnostica è molto importante valutare anche gli aspetti neuropsicologici ed emotivi. Dagli studi effettuati in tale ambito, infatti, è emerso come ci sia una frequente associazione tra i DSA e i disturbi emotivi e comportamentali. La diagnosi di DSA, inoltre, ha spesso una ricaduta sia a livello individuale che sociale. Questa tipologia di disturbo si presenta soprattutto a scuola, dove il bambino con DSA si deve confrontare quotidianamente con il gruppo dei compagni e con le prestazioni scolastiche richieste.

Per questo, rispetto all’intervento, oltre a un lavoro di rinforzo delle funzioni cognitive del ragazzo, è di fondamentale importanza occuparsi dell’impatto emotivo che i disturbi dell’apprendimento potrebbero avere sui giovani. I bambini e gli adolescenti diagnosticati mostrano spesso bassa autostima, una profonda sofferenza psichica e difficoltà nel relazionarsi con i coetanei, tutti vissuti che possono incidere sulla motivazione ad apprendere; un bambino non sereno, infatti, non riuscirà ad investire energie sufficienti nello studio e il rischio a cui si può andare incontro è che abbandoni la scuola in adolescenza.
Per questi motivi, l’Associazione offre uno spazio di ascolto per bambini e per adolescenti che necessitano di una psicoterapia a causa del disagio emotivo innestato sulle problematiche dell’apprendimento.

Allo stesso tempo si propone un servizio di Tutoraggio domiciliare, utile nell’organizzazione dello studio e nelle autonomie.

L’Associazione, inoltre, opera in stretta collaborazione con le istituzioni scolastiche sia presenziando a GLH relativi ai minori seguiti in psicoterapia, sia svolgendo incontri di formazione specifica su DSA.

Hikikomori, l’autoreclusione volontaria degli adolescenti
L’Associazione ha deciso di occuparsi degli adolescenti e/o giovani adulti autoreclusi in casa o nei casi più gravi, autosegregati nella loro stanza, poiché la presa in carico di questi ragazzi, necessita di un intervento pluirispecialistico che solo una équipe specializzata può garantire.

In Giappone li chiamano Hikikomori, dove tale problematica viene considerata un “fenomeno” mentre in Italia si preferisce dare più importanza al suo aspetto psicologico/clinico.

Questi ragazzi non sembrano avere un rapporto “reale” con il mondo esterno e sporadici, se non rarissimi, contatti con i familiari con cui condividono l’abitazione.

Sono ragazzi invisibili, passivi e silenziosi ma, allo stesso tempo, determinanti tanto che, con il loro isolamento, appaiono così ingombranti da far percepire il proprio rumore assordante.
È difficile individuare questa tipologia di ragazzi perché non sono adolescenti trasgressivi che fanno azioni eclatanti tanto da allarmare i genitori; non fanno uso di sostanze, non spacciano, non agiscono atti di bullismo, anzi, il più delle volte sono proprio loro ad essere vittime dei bulli.

L’Associazione ritiene che la decisione di chiudersi in casa sia dovuta da una moltitudine di fattori e potrebbe sottendere diverse forme di disagio, che è bene diagnosticare accuratamente al fine di formulare un progetto mirato. È importante capire i vari aspetti di questa patologia che ovviamente muta con il mutare delle epoche. Se nei decenni passati, il ritiro di un giovane poteva avere delle caratteristiche ed una determinata sintomatologia, oggi, con i cambiamenti sociali che stiamo vivendo e con l’avvento delle nuove tecnologie, si presenterà sicuramente con altre modalità.

Rispetto a questa multiformità ci si potrebbe trovare dinanzi ad un disturbo d’ansia, quale la fobia sociale. Il ragazzo in questo caso non riesce più a frequentare contesti pubblici, come per esempio scuola, gruppo di coetanei, competizioni sportive, ecc., che sente come fonti di ansia perché teme di potere essere osservato e/o giudicato negativamente dalle altre persone, soprattutto dai coetanei. Questi stessi luoghi possono venir evitati perché ricordano esperienze passate negative, impossibili da metabolizzare. La chiusura in casa, inoltre, potrebbe sottendere anche una problematica depressiva, un disturbo dipendente e/o una psicosi. Per questo l’Associazione si propone innanzitutto di capire come si struttura il disagio che sottende una simile chiusura e solo successivamente programmare una presa in carico multidisciplinare che possa coinvolgere interventi a studio come in ambiente domiciliare.

Il progetto terapeutico prevede il coinvolgimento di tutto il nucleo familiare e l’équipe curante è formata da diverse figure professionali, quali psicoterapeuti, psicologi o educatori formati per l’assistenza domiciliare (compagni adulti) e, se il ragazzo necessiti di una cura farmacologica, vedrà anche la partecipazione di psichiatri o neuropsichiatri infantili.
Sarà inoltre importante mantenere un collegamento costante con la scuola del ragazzo per permetterne la frequentazione anche con modalità alternative che saranno valutate nel progetto di presa in carico.

Problematiche legate all’adozione
Quando parliamo di adozione ci riferiamo ad un iter lungo e complesso, costellato da eventi che ne scandiscono le tappe e che coinvolgono la coppia in sfide di natura pratica, legale e burocratica, ma anche e soprattutto cariche di una forte valenza emotiva.

Se il delicato iter adottivo ha negli ultimi anni ricevuto la giusta attenzione, poco sostegno è, invece, stato dedicato al periodo della post-adozione quando la nuova famiglia è chiamata a costruire, strutturare e soprattutto solidificare i nuovi legami di attaccamento ed appartenenza, a negoziare ruoli, ad affrontare paure e a vivere entusiasmi.

E’, invece, di primaria importanza poter pensare per la famiglia adottiva un sostegno prolungato nel tempo volto ad attivare le risorse interne della neo-famiglia accompagnandola e sostenendola nei momenti e fasi di sviluppo maggiormente critiche, come ad esempio l’inserimento scolastico o l’adolescenza del figlio.

La nostra associazione offre in tal senso:

  • Gruppi terapeutici per genitori adottivi;
  • Psicoterapia per la famiglia adottiva;
  • Sostegno alla coppia genitoriale adottiva;
  • Gruppi terapeutici per bambini e adolescenti adottati;
  • Psicoterapia individuale del bambino e dell’adolescente.
Violenza domestica e nelle relazioni intime
In quest’ultimo decennio, è aumentata l’attenzione nei confronti della violenza nelle relazioni intime, anche grazie alla Convenzione di Istanbul del 2011 sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e più in generale alla violenza domestica. Tale convenzione a cui oggi hanno aderito 34 paesi, si propone di prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime ed impedire l’impunità degli autori di reato e rappresenta, quindi, il primo quadro normativo internazionale utile a garantire la protezione delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La ratifica di tale Convenzione è stata approvata in Italia nel 2013 diventando a tutti gli effetti uno strumento giuridico da rispettare (legge 77/2013).

Se sul piano giuridico è stato fatto un grande passo avanti nei confronti della violenza di genere, l’attenzione deve parallelamente essere posta sul fenomeno della violenza nelle relazioni intime per comprenderne gli aspetti psicologici e culturali, per studiarne le cause e per creare successivamente progetti di prevenzione.

Questo tipo di violenza è molto particolare perché si sprigiona sempre all’interno di una relazione tra due partner. La relazione di coppia dovrebbe in teoria nascere su base volontaria coinvolgendo la sfera emozionale di entrambe le persone. All’interno di una simile relazione, entrano in gioco i bisogni più profondi di ciascuno ed ogni soggetto si presenta all’altro con tutte le proprie debolezze e fragilità per dare spazio al più autentico desiderio di costruire una relazione affettiva. Per questi motivi, è difficile comprendere come una relazione che nasce sulle basi di unione e comunione, possa trasformarsi in una relazione distruttiva.

Per prevenire il coinvolgimento in una simile relazione o per uscirne, ci si potrebbe rivolgere all’Associazione L’Orsa Minore per:

  • Conoscere il fenomeno;
  • Non avere paura di parlarne;
  • Chiedere aiuto per la propria incolumità e tutela;
  • Chiedere un sostegno psicologico per essere aiutati ad uscire dalla relazione;
  • Trovare la rete istituzionale presente nel quartiere o nella città di Roma per chiedere aiuto o rifugiarsi in emergenza.